Er cavallo de’ li Viggili

Sfogliando una vecchia pubblicazione del lontano 1964 edita dal Ministero dell’Interno per illustrare il Corpo dei Vigili del Fuoco e le sue attività abbiamo avuto la piacevole sorpresa di trovare, tra le varie notizie storiche e le descrizioni dell’organizzazione negli anni ’60, anche una bella poesia scritta da un tal Maresciallo Raniero Franzero di cui non conosciamo altro se non il nome.

E’ una poesia in romanesco ambientata in quegli storici momenti in cui il Corpo visse il passaggio all’era moderna sia con i mezzi che con l’organizzazione.

I versi sono caratterizzati da quello spirito ironico e salace, classico del vernacolo e del carattere romanesco di cui Trilussa è stato l’interprete più alto. E, proprio come in tante opere di Trilussa, la poesia è permeata da un velo di melanconia e di nostalgia di un passato meno modernizzato ma, proprio per questo, più “eroico”.

E noi vogliamo rendere omaggio al bravo Maresciallo Raniero Franzero riproponendo ai nostri lettori quella sua opera scritta tanti anni fa.




Se chiamava Pavone.

Era un cavallo ardito e fumantino
de que’le razze bone
co’ forme rozze e collo taurino
coll’occhio sempre vivo e intelligente
pareva che capisse er su mestiere,
er curre suo sarvava tanta gente
come fusse un dovere.

Tant’anni de servizio, quanta gloria
aveva guadagnata!
Ogni corsa de Pavone ‘na vittoria
e lui che la stimava? ‘Na sudata!

Forza Pavone…. corri come er vento!
Arriva in un momento!
Lo vedi? Er celo è rosso,
l’incendio è grave, fuggi a più non posso!

E via, Pavone, co la panza a tera,
e corre e sbuffa tanto da schiattà,
l’occhi de foco, dritta la criniera…
forse c’è quarche vita da sarvà!

Arivati sur posto, soddisfatto,
raspava co’ le zampe sur tereno
come  pe’ dì: “Vedete si ch’ò fatto?
Ho corso più d’un treno!
E tutto pisciolante de sudore
pareva che sapesse de l’onore
che pure a lui aspettava
si quarche vita umana se sarvava.

Quanti disastri e incendi spaventosi
aveva visti ne’ la su’ carriera?

Aveva inteso l’urli dolorosi,
l’urli de berva, l’urli de pantera
de’ le persone prese dalla morte!
Aveva visto scene commoventi
che l’animo più forte
ci’avrebbe avuti mille smarimenti.

Pavone, certe cose le capiva
perché pareva quasi che soffriva.


Quanno stava in riposo, in scuderia,
era er cocchetto de’ la compagnia,
tutte le gentilezze più sincere
erano per Pavone.
E lui, tutto contento dar piacere,
faceva mille feste all’attenzione:
- èccheve er zuccheretto!
- baciateme la mano!
- lasciate stà er beretto!
- nun mozzicate….piano!
- arzàte su la zampa….sù la testa!
Intorno a lui ce stava sempre festa.

Un brutto giorno, povero Pavone,
se vidde messo fori dar servizio.
Ce fù ‘na novità, n’innovazione
che j’agnentava tutto er sacrificio!
Vennero l’automobili volanti,
e li cavalli, tutti, tutti quanti,
vennero congedati
come li pensionati!

Pavone conosceva li segnali.
Sonò l’incendio e lui nun fù attaccato,
restò meravijato !
Poi vidde  ‘n macchinone e dù fanali
fissi come dù occhi
che stavano a guardallo
come pè minchionallo…
S’intese ‘n gran tremore a li ginocchi.
Poi er macchinone se ne annò sbuffanno
come ‘na bestia presa da l’affanno.

Er povero cavallo
pensò tra sé: “Va là, nun fa rumore,
che guasi guasi….ce farebbe a core!
E mò? Mò che farò io poveretto?
Botte su botte e tirerò er caretto?
No, questo nun lo faccio pè davero!
E fisso ner pensiero
nun volle più magnà, rifiutò er fieno,
la biada, la favetta, er beverone…

E stamattina, steso sur tereno,
c’era ‘n cavallo morto: era Pavone.

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Maresciallo RANIERO FRANZERO